Verso Rio 2016 !

Questo è il periodo dell’ anno che vede molti atleti e team di sport olimpici fare i conti con il lavoro realizzato negli anni precedenti. Alcuni atleti e team sono già qualificati per RIO 2016 mentre altri stanno lottando sul filo di lana per esserlo e le ultime gare di questi mesi sono le ultime opportunità per guadagnarsi il biglietto per RIO.

E’ proprio questo il periodo nel quale con grande probabilità e frequenza si evidenziano, nel singolo e nel team,  le criticità nella preparazione mentale. Queste criticità emergono non a caso, come per la parte fisica , proprio nei momenti di forte stress dove le aspettative e le pressioni esterne ed interne aumentano enormemente mettendo a dura prova l’atleta e l’intera squadra ( giocatori , tecnici , allenatori , preparatori ecc ).

Molte realtà e professioniti si accorgono solo ora della mancanza di un lavoro strutturato sulla parte mentale e sul clima di lavoro.  Mentre fino a ieri ci si era concentrati maggiormente sull’ aspetto fisico e tecnico tralasciando a volte completamente il lavoro di preparazione mentale,  oggi si iniziano a fare i conti con ansia, aspettative, emozioni negative, confusione cognitiva, schemi di comportamento e tutta una serie di situazioni che vanno a gravare sulla performance. Se da una parte la tecnica e la preparazione fisica sono ai massimi livelli, dall’ altra la componente mentale aiuta o meno l’espressione di queste capacità e risorse fisiche apprese. In questi momenti osservo, nelle relazioni, diverse reazioni che coinvolgono sia l’ atleta che le persone che gravitano all’ interno dei team di lavoro. Da una parte si attiva la rete di contatti personali e amichevoli che portano,come risultante, a dispensare buoni consigli attingendo alle proprie o altrui esperienze passate. Dall’altra si razionalizza mettendosi a fare calcoli matematici e applicando modelli di previsione che generalmente trovano ben poco riscontro reale, dall’altra ancora ci si accanisce nell’ aumentare la quantità e stimoli di lavoro fisico e tecnico. Di mezzo c’è l’atleta e ancora prima la persona e tutto questo si amplifica quando ci sono un gruppo di persone.

Ci si dimentica di chiedere al diretto interessato ( l’atleta) quale sia la sua percezione della situazione, dando per scontato che ad una azione debba necessariamente seguire una reazione come noi ci aspettiamo senza calcolare che a filtrare il tutto c’è il sistema nervoso e il mondo interno della persona.  E’ questo il terreno fertile per far crescere l’effetto nocebo, cioè qual meccanismo che vede interessati in modo sinergico “mente – cervello – corpo” e che come risultante finale di tale crescita è la reale limitazione nella propria performance. Nella sua straodinaria concretezza nell’ effetto nocebo vengono rilasciate sostanze endogene che, come risultato finale, limitano l’espressione fisica e fisiologica della persona. Sono sostanze conosciute da tempo nel mondo della neurofisiologia ( Vedi prof. Fabrizio Benedetti ) i cui effetti sono abbondantemente sperimentati.  Sostanze che aumentano la percezione del dolore, della fatica, della fame d’aria. La stessa tolleranza lattacida, lo dicono fisiologi di fama mondiale dal calibro di Prof. Pietro Enrico di Prampero e Guido Ferretti , è un fattore soprattutto psicologico e non fisiologico .

Da meditare profondamente su questo aspetto che sarà la chiave del successo nel futuro nella preparazione di un’atleta e di un team. Approcciarsi correttamente e approfondire le conoscenze in campo affidandosi a professionisti riconosciti potrà contribuire concretamente ad esplorare il raggiungimento di nuove #PeakPerformance ! #usailcervelloenonlachimica  #deepinsideproject

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